La consapevolezza quale antidoto alle nuove e infinite “emergenze”
Il giorno 24 settembre 2022 si è tenuto un interessante webinar organizzato da Fondazione Homo Novus ETS, Associazione Homo Novus e AMBB Associazione scientifica di medicina integrata tra biochimica e biofisica il cui Presidente Prof Piergiorgio Spaggiari non ha potuto esporre la sua relazione al suo momento causa sopraggiunti impegni. Di seguito vengono riportate le relazioni degli interventi effettuati, il video del webinar è disponibile sul sito della Associazione Homo Novus. Introduce la sessione l’ing. Osvaldo Pasqual, Presidente Associazione Homo Novus – pro justitia et veritate, dicendo che affrontare un tema come quello della consapevolezza, in un’epoca in cui le fake news dilagano, non è certamente semplice, ma, come ormai abitudine della Associazione Homo Novus, ci accingiamo a farlo con il nostro consueto senso critico e qualità conclamata dei relatori che animano i ns webinar.
Negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, questo tema della consapevolezza venne trattato a livelli di una divulgazione senza eguali, da uno dei più grandi, a mio avviso, psicoterapeuti mai esistiti: il dr Eric Berne, il padre della cosiddetta “Analisi Transazionale”.
In alcuni suoi scritti, che divennero in breve tempo dei best sellers, venduti anche nelle edicole, come “Io sono ok, tu sei ok” e “Ciao e poi”, tra le persone
comuni divennero familiari le figure del “genitore”, de “l’adulto” e del “bambino”, come l’autore ebbe a distinguere i principali stati dell’io, e il linguaggio della psicologia e anche della psichiatria assunse un carattere di cultura popolare, oserei dire, come la musica pop di quel periodo, dove ad esempio gruppi come i Beatles, furono oggetto di fenomeni di acclamazione di massa, che ancor oggi non trovano una spiegazione convincente. Eric Berne fu nei confronti della psicologia, ciò che i Beatles rappresentarono nei confronti della musica: un fenomeno caratterizzante ed identificativo di un ventennio praticamente irripetibile. Nei lavori di Berne, la consapevolezza costituiva il punto di arrivo e la “guarigione”: il soggetto consapevole riacquistava la sua libertà di esser pienamente sé stesso, interpretando i diversi ruoli del genitore, dell’adulto e del bambino libero da ogni contaminazione (il genitore che contamina l’adulto, ma soprattutto il genitore e l’adulto che contaminano il bambino, inteso come la forma più genuina di una persona). Questi temi vennero poi sviluppati in un altro lavoro di Eric Berne, intitolato “A che gioco giochiamo”, anche questo oggetto di numerose ristampe.
In quest’opera, Berne elenca le principali casistiche dove una persona si trova ad interpretare ruoli, che se da una parte gli consentono di “vivere” anche un’intera esistenza, giocando (appunto nel senso inglese del termine play) ruoli noti ed accettati anche da intere comunità (famiglie, luoghi di lavoro, società, ecc.), dall’altra finiscono quasi sempre in maniera tragica (malattie mentali irreversibili, morte). Solo nel momento in cui la persona si rende conto, cioè diventa consapevole di “giocare” un ruolo imposto da altri, inizia il processo di guarigione e la persona ridiventa libera. In “A che gioco giochiamo”, le tre figure del genitore, dell’adulto e del bambino, capisaldi dell’Analisi Transazionale, si esplicitano più propriamente nei ruoli della “vittima” (il soggetto malato), del “persecutore” e del “salvatore”, dove molto spesso questi ultimi due vengono svolti da una stessa persona, in tempi diversi. Ebbene ciò che è accaduto in questi ultimi 2 anni, può essere spiegato con l’Analisi Transazionale di Eric Berne? O meglio ancora con il suo libro dei giochi, dove molti stati hanno impersonato alternativamente il ruolo del Persecutore (lockdown, imposizione di farmaci sperimentali, riduzione delle libertà personali, divieto di lavorare e di procurarsi un reddito) e del Salvatore (contributi a fondo perduto, aiuti)? Mi auguro, ma ne sono quasi certo, che questo webinar possa suggerire ad ognuna delle persone che lo seguiranno la loro particolare risposta.
Avv. Alessandro Benni de Sena, Associazione Homo Novus, titolo: Diritto e società nelle nuove e continue emergenze. Quando si parla di “continue ed infinite emergenze” si dovrebbero considerare, in questo momento storico, anche le conseguenze sociali e psicologiche del perdurare di una situazione di continuo stress, iniziato nel
2020 con l’emergenza pandemica e i c.d. lockdown e continuata ininterrottamente nel 2022, cui aggiungere prima l’emergenza idrica estiva, poi l’attuale deflagrare dell’emergenza energetica, economica e sociale scaturente dalla tensione geopolitica in atto. È indubbio che dal 2020 la gestione pandemica e la comunicazione siano state molto invasive, di fatto e di diritto, nella limitazione e/o disciplina di libertà e diritti fondamentali. La legislazione è stata “schizofrenica”, caratterizzata da un susseguirsi di decreti legge e circolari oggettivamente metteva in difficoltà gli stessi operatori del diritto e provocava un forte senso di incertezza negli operatori economici, nelle famiglie, nelle persone. Gli stessi provvedimenti normativi imponevano misure e concetti di distanziamento sociale o addirittura di isolamento connesso all’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie.
È da evidenziare che nei testi normativi si è passati dal concetto di distanziamento sociale a quello di isolamento sociale, parole ben precise, diverse e con implicazioni molto pregnanti. In generale, poi, l’uso prolungato delle mascherine non è scevro da conseguenze, non solo mediche, ma anche psicologiche e sociali sia per gli adulti, sia per i bambini. Anche le forme comunicative sono state molto pervasive: la stessa vetrizzazione delle opinioni degli esperti ha alimentato atteggiamenti ansiogeni. Tutto ciò ha instillato e diffuso paura, se non terrore, nelle persone.
È chiaro che la pandemia e la sua gestione hanno avuto effetti su più aspetti della società (c.d. sindemia): salute individuale, ma anche tenuta/carenza dei servizi medici, insicurezza sociale ed individuale, divisione sociale, perdite economiche, povertà, violenza. Non si può sottacere che prolungati periodi di stress comportano l’attivazione di meccanismi di difesa contro la paura e il pericolo, tra cui l’aggressività. A distanza di quasi tre anni, oggi ci troviamo ad affrontare nuove emergenze dopo quella sanitaria, senza soluzione di continuità. Detto diversamente, il sistema economico-sociale e personale/ emozionale è già “provato” e pone questioni su come la persona possa gestire un continuo stato di emergenza/ pressione. Senza entrare nel merito delle decisioni e della gestione pandemica, ad oggi il dato è oggettivo e sugellato dall’introduzione del c.d. bonus psicologo (misura prevista dall’articolo 1-quater, comma 3°, decreto-legge n. 228/2021, convertito dalla legge n. 15/2022) per sostenere proprio le persone in condizione di ansia, depressione, stress e fragilità psicologica a causa dell’emergenza pandemica.
Perché tutti questi aspetti della sindemia interessano al giurista? In questo momento storico si pone la questione della consapevolezza, intesa nel senso più ampio (di essere consapevole, avere cognizione e coscienza), ossia di capacità di saper individuare e capire la sostanza dei problemi, così da instaurare un confronto costruttivo per cercare di risolvere le difficoltà, riconoscendo ed abbandonando i meccanismi di difesa psicologici inconsci, dopo la crisi e la divisione sociale vissuta. Avere cognizione permette anche di abbandonare la semplificazione, di cui si è fatto uso nello stato di emergenza.
Troppo spesso nell’argomentare nei diversi settori (giuridico, medico, psicologico, sociale, etc.) si è, da tempo, ricorso alla summa divisio in due fazioni di un problema. Questa semplificazione e giustapposizione ideologica non tiene conto della varietà di punti di vista e di questioni sostanziali da affrontare, dunque rischia di essere inconcludente nella sua assolutezza.Infatti, non si tratta banalmente di ricondurre le richieste di trasparenza e confronto sui temi pandemici al fronte dei negazionisti, ma di rispondere a reali istanze di comunicare in modo chiaro e trasparente a fronte di possibili valutazioni scientifiche e politiche diverse, ovvero a fronte di provvedimenti incoerenti o non chiari. Si pensi al caso dell’obbligo vaccinale: l’Austria, primo Paese europeo ad introdurre l’obbligo vaccinale generalizzato, lo ha sospeso dopo pochi mesi, in quanto la Commissione scientifica incaricata dal Governo ha ritenuto che la misura non fosse proporzionale in quel momento storico, con una prima relazione dell’8.03.2022 confermata a distanza di pochi mesi, le relazioni della commissione austriaca sono pubblicate nel sito ufficiale della Cancelleria federale austriaca.
Non interessa in questa sede affrontare il tema dell’obbligo vaccinale, ma il fatto che la commissione scientifica governativa ha effettuato una valutazione di ampio respiro (considerando la prevalenza della variante omicron meno pericolosa, l’alto numero di guariti, il momento storico per cui non è indicato procedere a vaccinazione di massima in pieno o fine inverno per non vaccinare o troppo tardi o troppo presto proprio per massimizzare e conservare la copertura immunologica raggiunta anche naturale, la presenza di cure come monoclonali e antivirali – presenti anche in Italia – che hanno dimostrato un’efficacia nel prevenire la morte e la malattia grave fino al 90% quindi la pressione ospedaliera, la presa d’atto che la vaccinazione non serve a prevenire l’infezione, ma la malattia, la presenza di eventi avversi da spiegare e di comprensibili paure o perplessità, la maggiore conoscenza scientifica acquisita e che si sta acquisendo, il criterio non solo della proporzionalità ma anche delle necessità della misura, il tutto ferma la necessità di un costante monitoraggio della situazione), si segnala al riguarda il webinar del’8.06.2022 “Vaccini Covis19: l’Austria inverte la rotta”, organizzato da Associazione Homo Novus, A.M.B.B. e Fondazione Homo Novus, la cui registrazione è disponibile nel sito internet www.homonovus.it nella sezione Eventi.
Lo Stato deve effettuare previsioni e giustificarle, deve ponderare gli interessi in gioco e deve rispondere all’esigenza di documentazione e trasparenza. Così la commissione austriaca, esprimendo principî generali condivisibili. In questa sede interessa sottolineare come questa visione sia mancata in Italia, sicuramente dal punto di vista comunicativo.
Con buona pace dei mea culpa che non si è riuscito a fare campagna informativa e di convincimento. Questa assenza di chiarezza e trasparenza genera dubbi che non vengono risolti, ma questi sono reali e di sostanza nel dibattito critico e costruttivo del merito delle scelte.
Le affermazioni di principio autopostulanti, soprattutto ove – si badi – la comunità scientifica ufficiale presenta diverse sfaccettature, portano a distorsioni di approccio metodologico e di confronto, che non viene consentito, alimentando il dissenso sociale. D’altra parte, il ricorso alle semplificazioni e ai principî generali (come tali corretti e condivisibili, altra cosa è la verifica dell’applicabilità in concreto) non è una novità, ma pare un fenomeno che si ritrova in diversi ambiti. Solo per esemplificare, si pensi al c.d. diritto al successo scolastico, apparentemente una conquista, che ha portato ad un decadimento di un sistema, quello dell’istruzione, invidiato anche all’estero, con ricadute sulla qualità della formazione dei giovani.
Se si considera, poi, il sostrato sociale, lo scenario diventa più preoccupante: data la crisi educativa delle nuove generazioni, la crisi della famiglia “perfetta” idilliaca, il cambiamento generazionale, dalla generazione del “no” alla generazione del “sì” ove si può fare tutto e tutto è dovuto senza bisogno di impegno/ responsabilità, l’aumento di comportamenti egoici ad esempio è la cd. adultescenza che si riferisce allo stile di vita di chi, entrato ormai nell’età adulta, continua a comportarsi da adolescente, la vetrinizzazione della vita privata con prevalenza dell’immagine sulla parola, ebbene si comprende come ci si trova di fronte ad una società fragile, a rischio di impoverimento culturale, decadimento cognitivo e analfabetismo emozionale.
In generale, il condivisibile riconoscimento di diritti sociali o di libertà deve confrontarsi con la realtà. L’astrazione dei rapporti umani scissi dalla realtà o natura, che dall’uomo non è controllabile, rischia di creare astrazioni o finzioni. Si pensi al caso dell’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio, ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale. Ma è la stessa Corte a ricordare che «occorre preservare la funzione del cognome, identitaria e di identificazione, a livello giuridico e sociale, nei rapporti di diritto pubblico e di diritto privato, che non è compatibile con un meccanismo moltiplicatore dei cognomi nel succedersi delle generazioni». Ed ancora. Il ricorso a formulazioni come il best interest del minore ha permesso grandi conquiste per nuove formazioni sociali, alternative alla famiglia fondata sul matrimonio. In un certo senso si è eterodeterminato un diritto, la cui configurabilità è solo postulata: il diritto di una coppia si fonda sul diritto di un terzo soggetto, il minore.
Assistiamo ad una privatizzazione dei rapporti/interessi individuali-egoistici, che non tengono conto dei limiti di natura o oggettivi, come quelli sul cognome appena visti, e dunque delle criticità sulle quali, si badi, confrontarsi per comporle e superarle. Questi limiti o elementi di natura, in tutto l’atteggiarsi umano, non dovrebbero essere né esagerati, né sminuiti, ma si dovrebbe avere consapevolezza del posto dell’uomo nella natura, riprendendo un titolo di un libro in un campo diverso.
Nel rilevare le differenze e nell’interrogarsi su di esse è necessario guardarsi da una forma molto frequente di falsa interpretazione, che finisce per distorcere e falsare l’opinione espressa. Non si sa se è più assurdo o più falso negare la realtà di differenze. Ma sarebbe altrettanto falso o assurdo esagerarne l’ampiezza. (HUXLEY, il posto dell’uomo nella natura e altri scritti). Tornando agli ultimi anni di pandemia, abbiamo assistito a profonde divisioni sociali, forse perché il metodo usato prescinde dal necessario legame del consenso di composizione degli interessi individuali e generali, secondo un principio ordinatore fulcro della società stessa.
Manca l’individuazione del criterio di unità. Gli interessi individuali e collettivi sono ordinati secondo il principio di confliggenza o composizione: l’interesse individuale-egosistico può essere a-sociale ove venga in conflitto con altri interessi individuali o con interessi collettivi o generali. In un gruppo sociale, al principio di confliggenza-composizione si sovrappone il principio ordinatore (o causa prima di formazione del gruppo), che disciplina il principio di confliggenza-composizione allo scopo di assicurare la coesione del gruppo stesso; solo successivamente vi saranno le regole che assolvono alla funzione di preordinare le procedure di composizione degli interessi.
In questo senso, ad esempio, il sistema degli incentivi, quale quello della certificazione verde per indurre a sottoporsi a vaccinazione o c.d. obbligo indiretto o accompagnamento gentile, non era persuasivo, anzi il sistema degli incentivi prescinde da tutto questo: non solo dalla previsione di un obbligo espresso e diretto, ma finanche dai principi di composizione e ordinatorio, che assicurano la coesione stessa della società civile, e, in fin dei conti, anche dalle regole di composizione. Tale sistema ha indotto a prevedere sanzioni o conseguenze negative (incidenti su diritti fondamentali dell’individuo, come la libertà personale o il diritto al lavoro), pur in assenza di obbligo, perché si spinge a fare o tollerare certi atti o fatti, senza bisogno di convincere le persone: non è necessario convincere che sia la cosa giusta, anzi si prescinde da questo, cioè dal convincimento e, quindi, dal consenso, dal momento che è sufficiente renderla conveniente. In effetti, il sistema degli incentivi è portentoso, perché spinge a fare o tollerare certi atti o fatti, senza bisogno di convincere le persone.
Questo perché non è necessario, anzi si prescinde da questo, convincere che sia la cosa giusta, essendo sufficiente renderla conveniente. Ma questo è il campo dell’economia, non delle libertà e dei diritti costituzionali. Dunque il giurista deve porsi il problema di come la società possa influire sul diritto e viceversa come il diritto possa influire sulla società e, in entrambi i casi se vi sono dei limiti ineludibili.
Dato il mutare della sensibilità sociale e dei modelli culturali e comportamentali, esistono valori oggettivi preesistenti ed immutabili e come determinarli (si veda il diritto naturale)? Di converso, la politica può determinare la società, condizionandone lo sviluppo attraverso i provvedimenti normativi di politiche sociali, economiche, etc. Occorre, quindi, interrogarsi, dopo oltre due anni di provvedimenti normativi incisivi, su come la società/le persone siano influenzati psicologicamente e socialmente di fronte alla gestione di nuove emergenze. In questo senso è opportuno stimolare la consapevolezza, ovvero il senso critico e il metodo. Trasportando alle diverse questioni attuali quanto scritto dal noto giurista P. Calamandrei alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, possiamo forse dire anche per l’argomento che si siamo prefissati che «il vero pericolo (…) non viene dal di fuori: è un lento esaurimento interno delle coscienze, che le rende acquiescenti e rassegnate. (…).
La pigrizia porta ad adagiarsi nell’abitudine, che vuol dire intorpidimento della curiosità critica e sclerosi della umana sensibilità; al posto della pungente pietà che obbliga lo spirito a vegliare in permanenza, subentra con gli anni la comoda indifferenza del burocrate, che gli consente di vivere dolcemente in dormiveglia. (…). È una malattia mentale, simile all’agorafobia: il terrore della propria indipendenza (…)». Si comprende, dunque, lo stretto legame tra diritto e società.
Dott. Ing Paolo Renati Associazione Homo Novus, titolo:
Il sentimento della Natura come base imprescindibile per ogni rinascimento della Vita. Brevi e spinosi commenti sulle “emergenze” del nostro tempo.
I problemi che stiamo esperendo in questa temporalmente irrisoria, ma acutissima, parentesi dell’antropocene, sono di scala planetaria e, oltre a riguardare l’imminente collasso di tutta l’umanità (a meno di un repentino “risveglio della tigre” interiore di ogni essere umano), tali problemi interessano purtroppo la messa in pericolo di quell’unica (ontologica e non ideologica) “legge” da seguire e che non è discutibile…
quella del funzionamento della vita, della biologia cioè di quell’autentico regno pre-tecnico che per tutti noi è sacro grembo oltre che di auspicabile “grande oceano” a cui tornare dopo il viaggio da gocce d’acqua (per dirla con R. Panikkar). La biologia, alle proprie radici funzionali, e la biosfera tutta, stanno venendo messe in pericolo… e non per “emergenze climatiche” naturali (già accadute molte volte) o antropiche… nel senso che, semmai, tali emergenze sono indotte ad arte, e con mezzi tecnologici ignoti ai più, proprio dalla medesima mano che propaganda la responsabilità delle moltitudini del demos, ignaro e da condurre fino al baratro del controllo biometrico assoluto. Stiamo parlando tanto di geoingegneria nei nostri cieli, quanto di biologia sintetica, tanto di sottrazione di fonti d’acqua e di terreni vecchia di decenni, quanto di elettrificazione e antenne a tappeto di tutto il globo, tanto di agenda “green” fondata sulla promozione di una unica forma di fornitura energetica (l’elettricità) che non risolve alcun problema di impatto ambientale (anzi!), quanto di rimozione della proprietà privata e del rendere gli esseri umani di fatto “utenti della loro esistenza” (e sotto ricatto).
Stiamo parlando tanto di cultura gender e dissoluzione della sessualità biologica innata, quanto di decostruzione della famiglia secondo natura, neuro-programmazione seduttiva dei bambini e di trans-umanesimo, stiamo parlando di foraggiamento bisecolare di credenze bio-medico-sanitarie in presunte epidemie e contagi da parte di “germi” (naturalmente o sinteticamente generati) che non hanno nulla di dimostrato e di negazione del confronto scientifico scevro da censure, bias, “gatekeeping tamponali” e fazionismi. Stiamo parlando di iniettarsi prodotti sintetici sperimentali (così da esser dei “bravi cittadini”) prodotti dai medesimi esponenti e sostenitori del “problema del sovrappopolamento”, senza che nessuno si interroghi sul come mai (viste le loro pubblicamente dichiarate idee sul pericoloso eccesso demografico) non colgano allora la palla al balzo di una “pandemia” da coronavirus, lasciando fare alla natura “il proprio corso”, ed invece ci tengano così tanto a che la gente “si salvi la vita”… tanto da precipitarsi a creare grottesche canzoncine di Natale in televisione e ricattare i reticenti fino al midollo. Ma loro sono filantropi!
La capiamo già così, o la dobbiamo spiegare? Siamo schietti. Stiamo parlando del fatto che se una moltitudine di individui sufficientemente numerosa non comprende (e in fretta!) il “perverso disegno” che da tempo si svolge sulle nostre teste e non inizia a “unire i puntini” che collegano i molti livelli di espressione del “sistema” sociale-economico-politico-tecnico in cui viviamo, e che crediamo invalicabile, allora siamo spacciati. Se una massa critica (in senso numerico e filosofico), entro poco tempo, non diviene pronta a far crollare dentro di sé idoli e capisaldi di molti di quelli che si credono essere i riferimenti di base del mondo (il denaro, gli stati, il mercato, il lavoro salariato, le malattie contagiose, le leggi, la cosiddetta istruzione, la scienza e le chiese varie), costruiti da tempo per svolgere indisturbatamente un controllo solo crescente, significa che non faremo in tempo a impedire che si instauri una distopia planetaria di cui poca fantascienza ha saputo suggerirci l’orrore.
Ciò che stiamo vivendo è la conseguenza di uno iato tra linguaggio e realtà e la patologica pretesa, degna di psicosi clinica, dell’adeguamento della seconda al primo. La radice di questa narcosi è scientifica (oltre che estetica, percettiva) e ciò si fa evidente nella prassi empirica, che sembra consegnare verità oggettive, ma solo quando queste poche pagine rappresentano il distillato di oltre 40 anni di consulenze su due tipi di capricci: quelli dei bambini che mandano in crisi i genitori e quelli dei vecchi che fanno altrettanto con i figli. Cercando di individuare di volta in volta le strategie pratiche per fronteggiare sia gli uni che gli altri, ho avuto modo di verificare quanto sia vero il detto “Diventando vecchi si ritorna bambini”.
E’ stata proprio la somiglianza delle strategie usate per l’età evolutiva e per quella involutiva a darmi l’idea di metterle a confronto per spiegare quanto siano diversi gli obbiettivi a seconda delle diverse età dei “capricciosi”. Tenere presente la differenza tra chi può essere educato e chi solo arginato aiuta a non mancare di rispetto né all’uno né all’altro. Insegnare l’importanza di una regola a un bambino non significa adultizzarlo, ma investire sulla sua crescita, distrarre un vecchio dalla testardaggine di una presa di posizione non significa infastidirlo, ma offrirgli una via d’uscita da un vicolo cieco comportamentale nel quale il deficit cognitivo lo ha spinto.
Anche lo spirito che anima l’accudimento di piccoli e vecchi cambia: accompagnare verso il futuro chi ha la vita davanti dà gioia, cercare di tenere attivo il pensiero in chi si avvia alla fine procura un grande dolore. Prima di addentrarmi nel vivo del discorso intendo fare alcune precisazioni per sgombrare il campo da possibili equivoci. Utilizzo i termini figlio e genitore solo per ragioni di snellimento stilistico, ma i destinatari delle mie riflessioni e i protagonisti dei fatti che mi hanno ispirato sono donne e uomini. Con deficit/deterioramento cognitivo/ demenza intendo indicare genericamente un disturbo intellettivo da involuzione indipendentemente dalla patologia che ne è la causa. La scelta di non addentrarmi in aspetti propriamente neurologici è stata dettata da due motivi:
1. la consapevolezza di non avere conoscenze specifiche in tale campo;
2. il desiderio di offrire unicamente degli strumenti pratici e psicologici a chi si deve occupare di un genitore incapace di badare a sé. In queste pagine fanno capolino qua e là osservazioni che possono sembrare fuori tema, in realtà sono state ispirate dall’intento di non ridurre chi ha un deficit cognitivo a un insieme di sintomi e chi se ne occupa a un mero risolutore di problemi. Dietro i comportamenti fuori controllo c’è una sofferenza sotterranea che non può essere ignorata. La parte pratica costituisce solo un aspetto dell’accudimento che deve fare i conti anche con vissuti di esasperazione, rabbia e stanchezza. L’esperienza professionale mi ha insegnato che sono proprio le emozioni a spuntare le lance anche a strategie potenzialmente efficaci. Non si può parlare di demenza senile senza fare riferimento a chi è e a come vive il vecchio, ma non si può parlare del vecchio senza fare riferimento a chi è e a come vive chi si occupa di lui, ma non si può parlare di chi si occupa di lui senza fare riferimento ai ritmi frenetici della sua giornata. Sono proprio i “non”, i “senza” e i “ma” a trasformare comportamenti diversi in anelli di un’unica catena che non può essere spezzata. La lettura del contesto aiuta a capire meglio i problemi, a cercare le eventuali soluzioni, oppure la rassegnazione quando non ce ne sono.
non rimuove ciò che sfugge alla misura (come, ad esempio, il percepito viscerale di ogni organismo dei significati attribuiti all’ambiente in cui è inserito e gli effetti potenti che tale percezione hanno sulla sua fisiologia), collassando il reale ad una rappresentazione codificata secondo categorie arbitrarie. Risultato:
ci sono persone che hanno mostrato sintomi, magari anche quadri clinici gravi, e, se non si diceva che la causa fosse un virus (mai isolato), si era dei “negazionisti” o altre follie, come se uno che neghi che i regali sotto l’albero ce li ha messi Babbo Natale, allora è uno che nega il Natale. Come si può comprendere, il passo all’orwelliano bi-pensiero è brevissimo: 2+2 fa 5 e chi lo nega è un violento ed un fascista.
Ma è bene fare una nota sulla radice percettiva, aesthetica e psichica della sottoscrizione di tutto ciò. Il delirio in cui ci troviamo, infatti, nasce da un degrado tanto narcisistico quanto esistenziale: • narcisistico nel senso che, per cultura, nel soggetto vengono sostituiti, alla percezione autentica di sé, la rappresentazione ed il “valore” codificati secondo parametri eteronomi al soggetto stesso e costruiti da un collettivismo funzionale ad altro, svuotato di ogni radicamento alla natura; da qui il bisogno di adequatio a canoni d’esistenza (non solo estetici, ma morali, culturali, sociali) necessari per garantirsi un imperdibile “status di appartenenza”, pena l’emarginazione; • esistenziale nel senso che l’isterilimento emotivo, analogico e la rimozione della vicinanza e del senso di cura e cooperazione fattuali (possibili solo in realtà a piccola scala, come i villaggi e le tribù), nella globalizzata standardizzazione in cui siamo alloggiati, svuota totalmente le vite di afflati profondi e degrada la comunicazione tra individui al livello meramente descrittivo; ciò è testimoniato dal solerte e indiscriminato accoglimento di tutte le “distrazioni” che permettano di saturare imbarazzanti silenzi da cui echeggino munchiani urli di un mal de vivre… e così si fanno ubiqui e desiderabili proto-rimedi surroganti come:
animali da appartamento, rotocalchi, socialnetwork, cronaca, eventi, pacchetti vacanze, per non parlare della dissipazione in mode, shopping e tifoserie di ogni sorta. L’importante è non abbandonare il chiacchiericcio che assicuri una comunicazione centrata su contenuti non-intimi (ad eccezione del pettegolezzo morboso) e che si nutra di commenti sul meteo, il caro benzina ed il solito “governo ladro” [ma va?!]).
Questi due fattori sorreggono l’architrave del conformismo, che sostanzialmente è la perfetta risultante comportamentale di una eugenetica culturale premeditata dall’alto ed ignaramente nutrita dal basso. In tal modo, laddove la deprivazione esistenziale e spirituale sono così irreparabili, il nichilismo opaco, travestito da normalità, fa sì che ogni occasione in cui ci si possa sentire migliori e riconosciuti positivamente valga come manna dal cielo. Ecco quindi che il principale attore che ha mosso il consenso sociale (l’unico ingrediente che possa trasformare una oggi impraticabile dittatura in una praticabilissima egemonia voluta in primis dalla massa) è proprio questa «grande occasione» di sentirsi migliori e lodevoli (a servizio dell’ubiquo archetipo della vittima sacrificale, ma con la levatura del martire e di chi purtroppo deve sopportare e farsi carico, ma a testa alta e con gioia nonostante gli irresponsabili, che diventano i capri espiatori).
E così, via ai bavagli sulla faccia, anche ai piccoli e anche quando non obbligatorie perché si è delle “persone responsabili”; via all’iniettarsi roba sperimentale di cui si richiede il manlevo di ogni responsabilità, firmando un consenso “informato” su prodotti coperti da segreto militare; via a porgersi il gomito, a lasciare le borse della spesa fuori casa della nonna che non si abbraccia da mesi e all’impedire di star vicini ad un malato in ospedale (che magari non si rivedrà mai più) e a molte altre chicche che se fossero state raccontate solo 10 anni fa avrebbero causato la sollevazione indignata dei più apatici ed indifferenti borghesucci.
La violenza di questo ligio ben pensare è ben più tragica di quella di una rivolta armata ed in quel buonismo, si fanno sacrileghi e blasfemi, o come minimo ridicoli (tramite etichette quali complottismo pseudo-scienza, tuttologia), ogni dissenso e critica a quel credo, in quanto tale credo costituisce proprio il sistema di coordinate entro cui può valere l’immagine narcisistica ed esistenzialmente povera dell’esser migliori.
La critica di chi, a tutto questo, non ci sta si fa inaccettabile ed urticante, poiché ribalterebbe quella stessa “lodevole” rappresentazione di sé in un mostruoso e miserabile «fesso» o «incompetente», ma soprattutto…. uno di quelli meno capaci di senso del sacro nei confronti di quell’intoccabile essenza di cui non si deve nemmeno discutere: il tempio del proprio corpo. Ovviamente, esistendo coloro che a questo schema perverso sono restati immuni, è bell’e fatto il divide et impera, ma la ragione non può liquidarsi nella banalizzazione secondo cui esistono due fazioni di individui che “stolti entrambi” si fanno la guerra, ponendole sullo stesso piano. Questo equivarrebbe a non riconoscere la vera dinamica della vicenda. Qui si tratta del fatto che una parte immensa di umanità sta deliberatamente abdicando al proprio “essere umani vivi e liberi” in favore di un macchinario infernale il cui operare coinvolge anche coloro che questo scempio lo vedono e non lo vogliono permettere, ma che sono in netta minoranza. La cosa grave e drammatica è l’impossibilità di affrancarsi, dicendo ai primi “voi fate la vostra strada”, in quanto il disegno è totale e coloro che stanno lottando, lo stanno facendo anche per le pecore del gregge (sia per causa loro, che per aiutare loro). Questo aspetto, con queste proporzioni, è un fatto inedito nell’intera storia dell’umanità.
Senza qui poterci soffermare su tutta la problematica che riguarda il primatismo della conoscenza scientifica e di tutta la patinata indiscutibilità di ciò che essa sforna dal mondo accademico, protetto dalla retorica dell’eccellenza e del peer review che certificano e accreditano il sapere che può e dev’essere accreditato, e senza qui considerare tutti i bias ideologici, economici che questo “sapere” porta con sé, sappiamo bene che la scienza istituzionale ha in realtà un grosso problema alla propria base e che riguarda il come si costruisce verità scientifica. Questo aspetto metodologico, specie nelle scienze medico-biologiche, non diventa mai oggetto della stessa riflessione scientifica, o non lo diventa al punto da mettere in discussione alcuni capisaldi intoccabili che in vero consentirebbero un salto paradigmatico nella comprensione del regno vivente.
All’interno di questa basilica dottrinale, il mondo accademico è rimasto inerte e passivo di fronte ad un simile delirio sociale, o se n’è fatto, peggio, complice ed attuatore. Idem per la scuola, che è stata da tempo programmata e configurata in modo da garantire una sottoscrizione del “total reset” in attuazione. Questo è stato un esito ottenibile tramite un preciso lavorio, degli ultimi 30 anni, occultato nelle anse delle procedure, fatto a colpi di riforme e circolari, nonché con le millantate pratiche di “sinergia col mondo del lavoro” e di finanziamento “della ricerca” sotto le voci di sviluppo, innovazione, ammodernamento, informatizzazione… ecc. (si veda E. Frezza). Ma tornando al problema epistemologico, se è vero che, con Bateson, «i dati non sono fatti», non possiamo dare per scontato ciò che l’immagine tradizionale della scienza fa dai tempi di Galilei, mettendo sullo stesso piano i modelli descrittivi (matematici, in ultimo) e quegli aspetti irriducibili dell’esperienza, con cui facciamo i conti tutti i giorni. Questa scienza sa rispondere alla domanda che si chiede che differenza c’è tra fare una misura e fare esperienza…? È evidente che da tempo siamo di fronte ad una crisi (utilissima) costituita dal rimettere radicalmente in discussione una visione dell’epistemologia che ritiene di poter operare soltanto intendendo il metodo come strumento indipendente dal proprio oggetto di studio e come criterio astratto della “scientificità” di un problema e di una sua soluzione. In questo caso, il prezzo da pagare è accettare il procedimento fisicalista come l’unico valido, e accettare un “taglio” cartesiano profondo tra mente e natura (psiche e soma) profondamente dualistico e, pertanto, non necessitato.
La “terapia” a tale crisi (per dirla con I. Licata) sta dapprima nel riconoscimento che ogni “epistemologia” nasce e si sviluppa all’interno dei livelli emergenti di realtà e quindi anche di descrizione, tenendo presente che lo studio di ogni “dominio del mondo” – dalla stessa definizione di “dominio”, ai suoi oggetti ed alle relazioni che li legano a vari livelli – implica un riconoscimento esplicito delle strategie e delle finalità cognitive dell’osservatore. Si deve mettere bene a fuoco che, di tutte le emergenze propagandate, l’unica vera e reale è allora quella della coscienza: al momento, nella maggior parte degli individui umani non ci sono strumenti adeguati a orientare l’agire ed il pensare… manca una bussola per stare al mondo in modo bio-logico, cioè secondo logica per la vita.
Non si sta parlando qui di cultura, competenze, nozioni, a di capacità di sentire (non di credere, ma di sentire!) cosa è vero/buono/utile (B. Spinoza) e necessario per la vita e di abbandonare un solipsismo sistema- centrico degenere che nulla ha di umano, e nulla ha di pro-vitale. Quello che sopprime la vita è la mancata meta-osservazione critica dei bisogni che vengono espressi da ogni individuo senza che quest’ultimo ne sappia distinguere l’origine (se davvero autentica, necessitata, bio-logica… o se indotta, condizionata, orientata, funzionale ad altro). Quando manca questo, allora vi è lo spazio per i grandi détournements (per dirla con i situazionisti e G. Debord) prodotti dal relativismo bi-pensato che fa da spalla al pensiero identitario.
Per solo menzionarne alcuni:
· dalla critica dell’umanesimo antropocentrico (umano troppo umano) alla negazione dell’umano in favore di un post/trans-umano (in vero espressione di una hybris paranoide, tremebonda ed incapace di cogliere l’ontologia relazionale di ogni vivente e di integrare la morte come fatto della vita)
· dall’accoglimento del bisognoso, del diverso, dell’inetto, del ferito (dentro) alla proibizione di essere normali (sani, forti, indipendenti, liberi, eterosessuali, maschi o femmine), da qui lo sfruttamento ad minorem dei valori cristiani, come aveva ben colto già Nietzsche nella sua genealogia della morale · dalla uguaglianza (quale?) come decontestualizzato totem inviolabile, alla soppressione delle diversità:
ma se ci pensiamo bene, la vita è proprio biodiversità, differenziazione (entropia minima raggiunta proprio tramite la massimizzazione dei vincoli, dei requisiti e delle distinzioni). Altro che la soppressione dei sessi o la prevalenza dell’autodichiarazione narrante sulla fattualità biologica!
· E quindi l’ideologia gender come atto di psicosi collettiva da mancato senso di realtà e sottoscrizione in vero dello status quo: essa sembra rompere schemi (con questa idea seduce adepti, e sempre più giovani), quando invece si fa il più acuto gesto di conformismo in cui la definizione data arbitrariamente va confermata da un collettivo servile, pena lessere fuori posto o fuori legge, perché violenti
· Dall’elevato i figli non si posseggono perché sono
della vita, non li possiedono i genitori perché di fatto
li possiede qualcun altro;
· Dalla tecnica come strumento, alla tecnica come
fine.
L’uomo è un essere vivente e se vuole prosperare nella
biosfera ed essere inondato di una felicità autentica,
conferibile solo dalla Natura, deve sapersi porre in
ascolto, per muovercisi con cura e commozione